ono fiammelle tremolanti. Il loro nucleo spesso è giallo ma in generale sono conosciuti per le loro tonalità azzurre e blu. Non scaldano e fluttuano a livello del terreno, senza toccarlo, e sono abbastanza potenti da illuminare la zona circostante.
Sono i fuochi fatui, piccole fiamme conosciute ai più come fenomeni tipici delle paludi e dei cimiteri.
Talvolta sono chiamati anche corpi santi, per una somiglianza con il fenomeno del Fuoco di Sant’Elmo, ma in realtà si tratta di due eventi ben differenti.
Oggi la scienza ha ampiamente spiegato il fenomeno dei fuochi fatui, le fiammelle bluastre che abitano i cimiteri e gli ambienti palustri, ma restano nonostante tutto fenomeni affascinanti e straordinari al tempo stesso.
Queste fuocherelli sono generati da gas prodotti durante la decomposizione di materie organiche, per questo motivo le loro apparizioni sono legate ad ambienti peculiari come acquitrini e campi santi.
Un tempo infatti le bare non venivano sigillate ermeticamente come oggi e durante il processo di decomposizione della salma i gas fuoriuscivano dalle fessure disponibili, filtrando attraverso il terreno e dando vita a queste fiammelle. I gas generati dalla decomposizione sono formati da idrogeno e fosforo, due elementi altamente infiammabili a contatto con l’ossigeno presente nell’aria.
La prima teoria formulata sui fuochi fatui risale al lontano 1776, quando Alessandro Volta suppose che questi gas interagissero con i fulmini, dando vita a queste “luci tremolanti”.
Oggi sappiamo che l’accensione dei fuochi è attribuita alla fosfina – inizialmente chiamato idrogeno fosforizzato -, una sostanza descritta per la prima volta nel 1789 da Antoine-Laurent de Lavoisier, famoso chimico e biologo francese.
I primi avvistamenti in realtà risalgono a tantissimo tempo addietro e proprio per l’inspiegabilità del fenomeno hanno iniziato a popolare le leggende e la mitologia di numerose culture.
In particolare pare che nel mondo anglosassone i fuochi fatui siano legati alla leggenda di Will-o’-the-wisp (o Jack-o’-Lantern), un malvagio fabbro costretto a vagare per l’eternità sulla terra, tenendo in mano un carbone ardente con cui si scalda e che usa per attirare poveretti che richiama in fitte e oscure foreste.
Da sempre, in generale, i fuochi fatui sono ritenuti dimostrazioni che l’aldilà esiste. In Giappone, per esempio, esistono due tipi di fuochi: gli Hitodama e gli Honibi.
Gli Hitodama sono fuochi azzurri associati alle anime dei morti che si manifestano spesso con una piccola coda, soprattutto nel periodo estivo.
Al contrario, gli Honibi sono fuochi demoniaci di entità non umane che attirano i viandanti lontano dai sentieri, per farli perdere in fitti boschi oscuri.
Gli antichi Egizi ritenevano che, più una persona fosse stata virtuosa e grande durante la vita terrena, più il suo Akh (ovvero la partecipazione della sua anima alla grande Luce Divina) si sarebbe illuminato, dando vita ai fuochi fatui.
Nel mondo Occidentale la maggior parte delle leggende, invece, riconduce l’esistenza dei fuochi fatui alle anime dei morti, soprattutto a quelle dannate o ai bambini non battezzati.
Oggi è sempre più complesso incontrare un fuoco fatuo in un campo santo, questo perché le salme vengono saldamente chiuse nelle camere di zinco, all’interno del feretro di legno. Pertanto la fuoriuscita di gas è resa impossibile.
Più probabile invece incontrare questo fenomeno in un ambiente palustre, dove i fuochi fatui assumono un aspetto ancora più spettrale.
Nella palude infatti si verificano reazioni chimiche che aumentano la teatralità dell’evento. In particolare la combustione delle fosfine crea una densa nebbia bianca che pervade l’ambiente. Spesso di sente anche parlare di fuochi che si allontanano al nostro avvicinarsi, o si disperdono velocemente. Il motivo è semplice: il nostro avvicinamento causa un movimento d’aria che, impattando sul fuoco fatuo, ne dirada il nucleo di gas.
Quindi, in caso incontraste sul vostro cammino un piccolo fuoco fatuo non ne abbiate timore, si tratta di un semplice fenomeno biologico dalle fattezze piuttosto stranianti.
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